Università Cattolica del Sacro Cuore

Ritrovare la bellezza nel lavoro e nella famiglia senza che la scelta diventi rinuncia

 24 febbraio 2014

Lavoro e famiglia: due termini antagonisti nel nostro pensiero e forse anche per la nostra esperienza. Sono due sfere che inevitabilmente sembrano escludersi e che mettono ciascuno di noi davanti ad una scelta. Come ben sappiamo la scelta porta in sé la dimensione di rinuncia e perdita. Qualsiasi sia la nostra propensione per l'uno o l'altro ambito ne usciamo un po' "a metà". Se siamo dediti al lavoro sacrifichiamo il tempo che altrimenti dedicheremmo ai nostri cari e, perché no, anche a noi stessi; d'altra parte il nostro totale investimento nella famiglia ci pone in una condizione di disagio. Ci sembra di non fare abbastanza per il sostentamento della famiglia, di dover rinunciare ad un puro investimento personale in termini di realizzazione, siamo calati in quel disagio che la società sembra sempre più fomentare, tenendo in poco conto la scelta di chi rinuncia ad una propria attività lavorativa per dedicare interamente il proprio tempo alla cura dei legami e all'educazione dei figli. Lavorando, al contrario, ecco comparire il senso di colpa: siamo assenti, non siamo abbastanza vicini ai figli, quando torniamo a casa siamo troppo stanchi per godere a pieno della nostra famiglia.

Probabilmente la mia visione è così "estremista" ed aut aut perché io ancora non ho né una famiglia né un lavoro, ma più si avvicina quel momento, più la questione mi preme. Aggiungiamoci il fatto che sono una donna e presumo che una madre si trovi a fatica di fronte a questo quesito.

Il mio intento non è fornire un risposta, anche perché, appunto, la domanda in me è aperta, ma proporre una riflessione su una questione che reputo "scottante" in un periodo di crisi economica e di crisi del valore della famiglia.

La transizione alla genitorialitá è il secondo passo (primo è il matrimonio) per la costruzione di un nucleo familiare e ciò comporta la necessità di ridefinire i ritmi, i compiti e i ruoli. La questione centrale è quindi la conciliazione famiglia lavoro. Ma è davvero possibile? È pensabile, ad esempio, per una donna essere una mamma e sposa e, al tempo stesso, una donna in carriera?

La dottoressa Sara Mazzucchelli, ricercatrice in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso la nostra Università, ha largamente discusso il problema. I dati delle ricerche ci indicano che se gli uomini abbandonano il lavoro per motivazioni intrinseche al lavoro stesso, le donne lo fanno per motivi familiari (oltre alla cura dei figli non dimentichiamoci degli anziani a carico di molte famiglie). La maternità incide in maniera rilevante e spesso negativa sulla decisione di rimanere nel mondo del lavoro e, si sa che da sempre la cura dei figli è una mansione propriamente materna. L'abbandono del lavoro è quindi dettato dalla necessità.

Le politiche europee rispondono al problema con i congedi, la flessibilità, i servizi di cura. Le famiglie fanno ricorso a misure di conciliazione garantite dalle aziende o fanno affidamento sul sostegno della rete di parentela, amicale, di vicinato o del partner.

La dottoressa Mazzucchelli definisce la conciliazione come quel "processo complesso, culminante in un atto di libera scelta relazionale, a partire da un articolato percorso di riflessività, avente quale oggetto specifici elementi concreti di realtà e la propria identità". Ecco che allora il problema è qualcosa che va oltre il semplice incastro dei tempi.

Accantoniamo per un momento il lato più psicologico della tematica e troviamo una risposta al perché debba essere auspicabile potersi dedicare anche al lavoro nelle parole di Papa Giovanni Paolo II il quale - nella lettera enciclica "Laborem exercens" del 1981 - dice: "il lavoro porta su di sé un particolare segno dell'uomo e dell'umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura." E ancora, "Il lavoro è un bene dell'uomo - è un bene della sua umanità -, perché mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, «diventa più uomo». Il lavoro è il fondamento su cui si forma la vita familiare, la quale è un diritto naturale ed una vocazione dell'uomo. Questi due cerchi di valori devono unirsi tra sé correttamente, e correttamente permearsi. Il lavoro è la condizione per rendere possibile la fondazione di una famiglia. Lavoro e laboriosità condizionano anche tutto il processo di educazione nella famiglia, proprio per la ragione che ognuno «diventa uomo» mediante il lavoro, e quel diventare uomo esprime appunto lo scopo principale di tutto il processo educativo. Evidentemente qui entrano in gioco, in un certo senso, due aspetti del lavoro: quello che consente la vita ed il mantenimento della famiglia, e quello mediante il quale si realizzano gli scopi della famiglia stessa, soprattutto l'educazione. Nell'insieme si deve ricordare ed affermare che la famiglia costituisce uno dei più importanti termini di riferimento, secondo i quali deve essere formato l'ordine socio-etico del lavoro umano".

In conclusione, credo che sia necessario mettere in discussione quello che è il bene per noi con quello degli altri e fare in modo che coincidano, tenere presente il carattere relazionale del nostro essere per cui anche il nostro bene risulti essere relazionale. Inoltre reputo che valga sempre la pena cercare la bellezza sia nel lavoro sia nella famiglia, senza che uno di questi ambiti porti alla perdita della capacità di godere della bellezza anche dell'altro.

Eleonora Piccolo