Università Cattolica del Sacro Cuore

Il caso Italia: Enzo Tortora e la battaglia per la giustizia giusta

 12 dicembre 2014 pastorale-TORTORA_WEB_rdax_260x174.jpg

Il Collegio Augustinianum ha ospitato, martedì 18 novembre, una conferenza dal titolo “«Il Caso Italia. Enzo Tortora e la battaglia per la “giustizia giusta”», al cui interno sono intervenuti l’avvocato Raffaele Della Valle – avvocato e legale di Tortora – e il professore Guido Vitiello, dell’Università La Sapienza di Roma – giornalista e autore di “Non giudicate”, un libro fondamentale per la coscienza di qualsiasi garantista vero: di chi, cioè, per dirla con Leonardo Sciascia, crede nel diritto e nella giustizia e sa per questo che “giudicare” è la più dolorosa e terribile delle necessità.

Grazie alla testimonianza diretta dell’avvocato Della Valle, che visse in prima linea e in prima persona il terribile calvario (e la coraggiosa battaglia che ne seguì) di Enzo Tortora, è stato possibile ricostruire “il più grande esempio di macelleria giudiziaria del nostro Paese”, come ebbe a definirlo Giorgio Bocca. È stato possibile ricostruire il modo in cui Enzo Tortora, dastimato e rispettato giornalista e presentatore (uno che alle nove di sera andava a letto con un libro di Karl Popper, come ha raccontato la figlia Silvia), si ritrovò – la mattina del 17 giugno 1983 – “trasformato” in un mostro; trasformato da un paio di manette strette ai polsi e date in pasto ai giornali, da un’accusa infamante e oltraggiosa mossagli contro sulla base di non si sa quali prove o indizi, da un trattamento del tutto simile a quello riservato al povero Jean Calas del “Trattato sulla Tolleranza” di Voltaire. Enzo Tortora era un camorrista: così era stato deciso prima di ogni indagine, verifica e processo. Come raccontato proprio dall’avvocato Della Valle, Enzo Tortora si trovò costretto a vivere una storia dal sapore kafkiano, segnata dal “combinato disposto” tra l’insipienza e i clamorosi errori della magistratura e l’accanimento mediatico: dopo un’assurda e mostruosa condanna in primo grado, ci vorranno infatti quasi 4 anni perché si accertasse, in Appello e Cassazione, che non era solo “innocente”, ma addirittura “estraneo” a ciò che gli veniva contestato. Enzo Tortora dimostrò, in più di un’occasione, la sua completa e assoluta integrità: momento centrale della serata è stata la lettura della lettera con cui Tortora chiese – formalmente – al proprio avvocato Della Valle di non richiedere alcuna “subordinata” in Appello rispetto a una sua possibile “non assoluzione”. Come ribadito dall’avvocato Della Valle, Tortora non era uomo di compromessi: voleva che fosse fatta interamente luce sulla verità del suo caso. O colpevole o innocente.

Dopo la rievocazione storica del caso Tortora, è stato grazie al professore Vitiello che si è attualizzata la vicenda, evidenziandone il lascito, a più di trent’anni di distanza. Dopo tutto questo tempo – nonostante il proliferare diindegne strumentalizzazioni e improvvidi paragoni – Enzo Tortora rimane un eroe per tutte le “brave persone” d’Italia. Se le sofferenze e il martirio che ha subito non fossero stati veri, si potrebbe dire di lui che è stato il protagonista di una leggenda: egli affrontò, infatti, i meccanismi impazziti di una “giustizia” “ingiusta”, impunita e impersonale (come sottolineato proprio da Vitiello, dal rapporto di polizia che apre la vicenda alle considerazioni del PM Olivares in Appello che la chiude, continua a ripetersi un “si vuole Tortora dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti”: ma chi è chelo vuole e perché lo vuole non si è mai chiarito) in cui fu a forza gettato. Ma dalla sua vicenda giudiziaria, Tortora uscì vittorioso, affranto e distrutto: e ne morì, lasciando che il cancro completasse l’opera cominciata da altri. Ma ciò che rende Tortora davvero eroico non è solo l’aver combattuto: è il non aver combattuto solo per sé. Non è stato il «caso Tortora», è stato (ed è ancora) il «caso Italia»: egli parlava (e parla ancora) “per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti e sono troppi”. Perché quello che successe a Tortora succede ancora e può succedere a chiunque di noi: e noi non siamo Tortora, non abbiamo la sua volontà e la sua forza.

Come ripetuto da Della Valle e Vitiello, Enzo Tortora ha impiegato tutte le sue forze nella battaglia per una “giustizia” che fosse “giusta” per tutti: per la sicurezza del cittadino, per le garanzie dell’imputato, per la dignità del carcerato, per il lavoro del magistrato. È questo il lascito più importante che Tortora ci ha fatto.

Autore: GIUSEPPE PORTONERA